Edoardo Varini Intervista Max Malfanti: la forza della volontà, dell’unione, dell’ideale
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Intervista a Max Malfanti: la forza della volontà, dell’unione, dell’ideale
Edoardo Varini: Come ti sei interessato alla politica e perché la Lega?
Max Malfanti: Il principale tratto di interesse nella Lega per me è sempre stato il discorso riguardante l’autonomia, perché l’autonomia responsabilizza i gruppi di persone, sollecitandoli a fare bene senza aspettare un soccorso esterno. Se vuoi qualcosa, fallo. Poi, se nel farlo quel che tu riesci a produrre non è sufficiente, è giusto che tu abbia un aiuto, ma certamente la spinta iniziale al miglioramento della tua vita è bene che provenga da te stesso. Quindi per me il discorso autonomista non era tanto il vecchio slogan «Il padrone a casa nostra!», slogan detto tanto per arringare la folla. Il pensiero realmente sottostante era il faber est suae quisque fortunae dei latini, cioè l’idea che ciascuno sia artefice della propria sorte. Quello che deve passare è in sintesi il concetto di responsabilità. Nella giurisprudenza italiana viene nominata la figura del buon padre di famiglia.
E: Dunque le politiche economiche da attuare sono il contrario esatto dell’assistenzialismo: non ti aspettare il benessere ma cerca di conquistartelo con la tua operosità.
M: Esattamente. Basti pensare alle conseguenze negative del piano Marshall, la parte prodromica di quello che sarà poi il quantitative easing, cioè io ti do soldi a pioggia e ti rendo mio schiavo. E questa sembra essere purtroppo la linea economica dei governi attuali, riflesso di quella sovranazionale delle banche centrali: pare quasi che l’iniziativa personale sia divenuta un nemico da combattere, un ostacolo da abbattere lungo la via della trasformazione di liberi individui in soggetti deprivati di qualunque reale possibilità capacità di autodeterminazione.
E: Come nasce il tuo pensiero politico, a che età? E quali sono i tuoi autori di riferimento?
M: Nasce da Mazzini. In seconda media sono stato obbligato dal piano di studi statale a conoscere Mazzini. E ho scoperto di essere mazziniano. Non europeista nel senso della attuale forma di governo europeo, ma nel senso della forma mazziniana di Europa, e penso alla Giovine Europa, nata dopo la Giovine Italia, sorta espressamente per promuovere l’indipendenza e l’emancipazione dei popoli dai Regimi assoluti. L’idea mazziniana era quelle di un’Europa Unita in cui stati autonomi ciascuno con la propria tradizione, si univano per aiutarsi in caso di bisogno, economico commerciale sanitario ed anche militare, in caso di aggressione esterna, in vista di benessere e pace comuni. Un’idea che su di me bambino esercitò un’enorme fascinazione.
Al contrario, fu con gli accordi di Bretton Woods del 1944, allorché gli Stati Uniti abolirono la convertibilità del dollaro in oro, che l’emissione di moneta divenne un vero e proprio volano di quella dittatura monetaria che pare essere il vero ostacolo sulla via dell’autodeterminazione dei popoli.
E: Come vedi il rapporto tra capitale, lavoro e diritti sociali, alla base delle varie declinazioni che la socialdemocrazia ha assunto nel secondo dopoguerra in Occidente?
M: Anzitutto non esistono due sistemi economici ma tre: c’è sì il liberalismo estremo, c’è il comunismo bolscevico declinato poi alla cinese, il comunismo di Mao, e poi c’è la terza via che è quella di Keynes, in cui grande rilevanza ha il livello occupazionale: al suo ridursi oltre una certa misura si rende necessario l’intervento statale. Cioè, si lasci fare all’imprenditore tutti i soldi che sa fare ma non si dimentichi colui che per mille ragioni, pur non avendo un particolare talento nel produrre profitto, ha pieno diritto di vivere dignitosamente e di ricevere tutti gli aiuti del caso, concetto proprio anche del corporativismo fascista degli albori, prima quindi delle bande nere e della deriva dittatoriale. Ma in sé il concetto del corporativismo era che gli scambi economici non fossero regolati da leggi di mercato ma da affinità sociali, culturali e familiari, dunque partendo dai bisogni dell’uomo e non dalle leggi del profitto. Il corporativismo nasceva per tutelare tutti senza bisogno di un padre padrone e con l’idea che nessuno, al di là dell’occupazione svolta, dovesse restare senza le necessarie risorse. È in sostanza il diritto ad una vita dignitosa, da cui nasce poi il concetto di pensione all’italiana, in cui si crea un accantonamento di risorse da distribuire poi a tutti i cittadini. Tutti devono aiutare tutti e tutti devono difendere il lavoratore, perché tutti lavorano, anche un eremita, perché pensa ma pensa per gli altri, prega e prega per gli altri. Lui lo ha preso per lavoro: e allora non ha il diritto di esistere? Ma certo che ne ha diritto. Lui prega per me. Io non ho tempo di farlo? Lo fa lui: grazie.
E: E che cosa è stato a far saltare questa logica virtuosa della distribuzione su larga scala della ricchezza prodotta al fine di consentire a tutti una vita dignitosa?
M: È stato l’intervento delle banche. Perché hanno intravisto il business. Nel senso che, a fine Ottocento la sostenibilità del lavoro dipendente c’era, sebbene fosse assimilabile ad una sorta di schiavitù mascherata. Vale a dire che il “padrone delle ferriere”, per citare il titolo di un famoso romanzo dell’epoca, cioè il padrone dell’impresa, era anche il padrone degli immobili che venivano dati in affitto e di ogni attività. Quindi calibrava che tutte le spese del lavoratore, a qualunque titolo, fossero sostenibili in rapporto alla sua paga. A un certo punto, dopo la crisi del ’29, dopo aver svincolato il dollaro dal cambio oro, con un percorso piuttosto veloce accelerato da due guerre e dall’afflusso del fiume di denaro previsto dal Piano Marshall, le banche private, ormai proprietarie e socie delle banche centrali, sono entrate a gamba tesa. In che modo? Dicendo: bene, tu fai tutto quello che vuoi, i soldi te li do io, ma poi tu me li rendi maggiorati. Ed hanno così fregato gli stati e i cittadini degli stessi, in un colpo solo ne hanno fregati due: gli unici vincitori sono loro, creando un debito di cui sono creditrici e che di fatto, senza il loro intervento monetario, non è esigibile.
E: Si percepisce dalle tue parole una profonda conoscenza della materia economica. È questo uno degli elementi per cui gli elettori dovrebbero votare Max Malfanti?
M: Direi di sì. Preciso meglio: io conosco le due parti. Conosco quello che c’è in gioco da tecnico, da osservatore, da analista. Conosco sia le difficoltà dei lavoratori sia degli imprenditori, e posso garantire che talora il sentirsi sfruttati è comune. Ti assicuro che il «Ma chi me l’ha fatto fare, potevo vivere di rendita» non è un pensiero infrequente tra i titolari di azienda. Lavorando nel settore, e avendo lavorato in banca, nelle assicurazioni, ho avuto modo di conoscere sia le preoccupazioni dell’imprenditore sia quelle delle istituzioni che lo vorrebbero aiutare e talora non possono per vincoli assurdi. Alla fine, amministrare è una questione di bilanciamento, ed è più facile bilanciare qualcosa che si conosce, vale a dire, nel mio caso, le dinamiche finanziarie e produttive.
Una volta a una rotonda sono stato bloccato da due macchine e mi è stato detto: «Ma lei è venuto nella nostra azienda per licenziare?». «No, per fare assumere di più, perché se il lavoro va bene e la ditta cresce danno più a voi e ne assumono altri».
E: Come vedi dal punto di vista economico la situazione cittadina e quali sarebbero gli interventi prioritari dal tuo punto di vista?
M: Bisogna partire da ciò che si ha per poi creare altro. Ora, a Pavia che cosa c’è? Cultura e storia. Pavia è un bellissimo museo a cielo aperto, un centro storico unico al mondo. È l’unico centro storico al mondo ad avere una strada intonsa dal 1600 ad oggi, nel percorso e nella conformazione: via di Porta Calcinara. Non ci sono i marciapiedi, non ci sono pilastri per l’illuminazione… è così com’era. Pavia ha un livello di storicità e bellezza incredibili, ed è da lì che bisognerebbe partire. Da quei circa duemila anni di storia che l’hanno edificata. Ci sono stati i barbari, poi i romani, poi ancora i barbari poi ancora i romani, sono passati gli spagnoli, i francesi, gli austriaci. L’accademia degli ufficiali austriaci non era né a Vienna né a Venezia né a Treviso ma a Pavia.
Certo abbiamo il problema della ricettività, lo dicono tutti i dati. E la soluzione non può che partire da una sensibilizzazione da parte dell’amministrazione comunale rivolta ai grossi imprenditori, alla loro grande disponibilità immobiliare, e parliamo di immobili spesso sfitti che non vengono messi sul mercato perché manca un loro immediato interesse a farlo.
Ho parlato con diversi agenti di viaggio e tutti mi dicono: noi abbiamo richiesta ma non sappiamo dove mandarli a dormire. Ora, vogliamo valutare tutti insieme la possibilità di creare dei residence, dei bed and breakfast? Ci sono società nascenti disponibili alla loro gestione… Allora affidate la loro gestione a questi giovani imprenditori che vogliono creare economia, spazi, accoglienza… Perché il turista che viene anche solo un giorno, e vede il bello che c’è a Pavia, torna… Io ho avuto un cliente che è arrivato a Pavia per sbaglio, con la famiglia. Si è così innamorato della città che ha comprato un immobile, poi lo ha dato in affitto. Però l’ha comprato… si è detto: è troppo bella, voglio avere qualcosa a Pavia.
E: Max, tu sei uomo di vaste letture, e allora ti chiedo: qual è il tuo libro preferito?
M: Il mio libro preferito è un libro un po’ di nicchia, Il mistero della camera gialla, di Gaston Leroux, di cui tutti conoscono il più celebre Il fantasma dell’Opera.
E poi Shakespeare…
E: E invece il film?
M: Ti devo dire in tutta onestà che il mio film preferito, in assoluto, l’unico che guarderei mille volte e, se potessi, mille e due, è Il sottomarino rosa. Un vero trattato di filosofia esoterica, di una bellezza addirittura, per me, commovente, e con un messaggio che è forse il più importante che si possa dare: la necessità, ad un certo momento della vita, di essere insieme. L’essere umano è un animale sociale. L’essere umano da solo non fa nulla. Vediamo che anche nella tradizione cristiana, pure costellata da esempi di eremiti, si staglia su tutto il messaggio di Cristo che leggiamo in Matteo: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». E in questo film si vede come l’unione di un manipolo di scalmanati, di gente malassortita, unendosi può uscire da qualunque situazione.